Abbiamo presentato una ricerca condotta da Alcimed in Italia, Francia e Spagna per conoscere il percorso tipo delle donne colpite da vulvodinia e alcune di voi hanno aderito alla richiesta dell’azienda di svolgere un’intervista telefonica approfondita sulla propria esperienza.

Alcimed ha anticipato in via ancora confidenziale all’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus una serie di dati aggregati dai quali risulta una situazione fondamentalmente analoga nei tra Paesi.

Il campione di 25 donne è di età compresa tra i 25 e i 60 anni.

Nel 75% dei casi l’esordio della vulvodinia è partito da un evento specifico diverso (ad esempio l’inizio delle mestruazioni, il parto, la chemioterapia, infezioni urinarie) e si è subito configurato come un dolore difficile da descrivere e molto intenso (8/10 di intensità).

Il primo riferimento per tutte le donne è stato il ginecologo e in media ciascuna ha visitato 8 specialisti, ricevendo una diagnosi nell’80% dei casi da un ginecologo. Per chi ha avuto un esordio negli anni 90 ci sono voluti anche oltre 20 anni per arrivare alla diagnosi corretta, mentre dopo il 2010 i tempi si sono sensibilmente accorciati, arrivando a 12-30 mesi; la media nei tre Paesi, però, resta di 11 anni. Nessuna donna ha ricevuto un riferimento preciso cui rivolgersi e spesso la ricerca di centri o professionisti competenti avviene online.

Tutte sperimentano che non c’è una terapia specifica e spesso occorrono diversi tentativi farmacologici e non per avere come risultato una diminuzione del dolore (nel 75% dei casi) che, comunque, non combatte la causa della malattia. Spesso le terapie vengono provate contemporaneamente e si continua a cercare soluzioni anche quando si è in cura da un medico di riferimento. Le donne riferiscono che alcuni comportamenti risultano utili nel controllare il dolore: yoga e meditazione, bagni (caldi o freddi) e il nuoto, rilassarsi e dormire.

Nella gestione del percorso di cura, le visite diventano trimestrali e spesso riguardano controlli ginecologici, sedute psicologiche o di fisioterapia, ma anche l’utilizzo della medicina alternativa. Nella maggior parte dei casi le terapie si interrompono per la necessità di contenere i costi o per scarsa empatia con il professionista.

Tutte le donne hanno sperimentato frustrazione, isolamento e senso di impotenza, diventando proattive nel cercare professionisti e terapie efficaci. Questo percorso ha un forte impatto negativo sulla vita sessuale, sociale (non si possono più praticare alcuni sport ad esempio) e professionale, arrivando a determinare l’abbandono del lavoro nella metà dei casi. Ovviamente questo aspetto ha un enorme impatto sulle risorse finanziarie delle donne che devono anche sostenere il costo di visite specialistiche spesso private, esami, farmaci e trattamenti, ma anche viaggi per consulti e terapie, arrivando a spendere fino a 10.000 euro.

Crediamo che questa sia una foto realistica della situazione, che comunque denota un miglioramento a partire dal 2010 per quanto riguarda la conoscenza della vulvodinia in ambiente sanitario, la presenza di modalità di diagnosi e di terapie utili a far migliorare lo stato di salute delle pazienti. AIV Onlus, nata nel 2006, ha certamente contribuito a questa situazione per quanto riguarda l’Italia.

Siamo consapevoli che resta ancora molta strada da fare, ma oggi le donne online trovano molte informazioni e possono sentirsi meno sole. Sicuramente alcuni aspetti richiedono l’intervento dell’interlocutore pubblico e quindi non sono facili da mettere in moto, ma AIV Onlus continua il suo percorso, concentrandosi principalmente sulla ricerca scientifica e sulla formazione che ha reso due saldi pilastri della propria mission.

Restiamo sempre pronti a valutare altre strade e vi invitiamo a restare la nostro fianco e a proporre azioni concrete che ritenete utili.

Donne e Vulvodinia in tre paesi europei: La Ricerca Alcimed